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Storia di Avola

La storia di Avola

 

La storia del Comune di Avola ha inizio nel periodo preistorico; secondo Francesco Di Maria la città fu fondata dai Sicani nei primi anni del XVII secolo a.C. ed è la mitica Ibla che, per l'ampiezza del territorio, lo sviluppo civile, la floridezza economica, l'antichità delle origini meritò l'appellativo di Maior, con cui la si volle distinguere dalle altre tre o quattro cittadine omonime che, in tempi successivi, furono fondate in altri luoghi della Sicilia e vengono ricordate da autorevoli scrittori antichi a proposito di eventi storici di notevole importanza. Sulla identificazione di Ibla di età preistorica, greca e romana con Avola Antica hanno scritto, diffusamente e con appassionata convinzione, lo stesso Di Maria, nella sua seconda opera scritta per dimostrare alla luce dei fatti storici la sua convinzione, e, a distanza di moltissimi anni, un altro avolese, Corrado Caldarella Tiberio; noi non abbiamo la stessa loro certezza sulla identificazione di Ibla con Avola Antica perché non abbiamo trovato chiare indicazioni nelle fonti antiche. Bisogna, d'altronde, dire che le fonti medievali e moderne identificano in Avola Antica la discendente della sicana Ibla, per cui il Di Maria e il Caldarella Tiberio, come i loro seguaci, non azzardano ipotesi inverosimili.

Sulla base della documentazione archeologica alcuni studiosi hanno avanzato l'ipotesi che il centro urbano sorto nella zona collinare di Avola Antica - che, d'ora in poi, per comodità se non per convinzione, chiameremo Ibla – fu abbastanza fiorente in epoca protostorica, grazie alla felice disposizione topografica in cui è situato: esso, infatti, è protetto da tre valloni che costituiscono invalicabili difese naturali da incursioni provenienti dal mare ed è a breve distanza dalla costa. Per questa invidiabile posizione geografica Ibla fu così stazione appetibile a viaggiatori d'oltremare talché è lecito immaginare–ed è suggestiva ipotesi – che essa sia stata un centro di primaria importanza commerciale per i manufatti degl'indigeni dell'entroterra ibleo e per le merci provenienti dall'Oriente, portatevi, molto probabilmente, dai Fenici, la cui presenza nella nostra zona pare che si possa fare risalire alla seconda metà dell'XI secolo a.C.; si aggiunge che, in epoca antecedente, il flusso commerciale miceneo aveva potuto interessare anche Ibla, come aveva interessato la penisoletta di Magnisi e altri punti della costa orientale siciliana

Relativamente al periodo Romano, non si hanno notizie storiche di sicura attendibilità intorno ad Avola o ad Ibla. Al di là del nome non sappiamo nulla neppure di Talaria. Dal Di Maria apprendiamo che Ibla passò ai Cartaginesi una volta che Marcello, il vincitore di Siracusa nel 210, partì dalla Sícilia per Roma, e che il pretore Marco Cornelio la ricondusse sotto la dominazione romana. Riportiamo queste notizie per averle lette, ma non perché le riteniamo credibili, mancando il riscontro nella storiografia accreditata. Tuttavia, se mancano documenti storiografici, non si può pensare che non ci sia stata forma di vita in luoghi già intensamente abitati e così vicini ad una grande potenza come Siracusa. In tal senso ci viene incontro l'archeologia con il suo ínequivocabile linguaggio. Nel 1954 furono ritrovate in contrada Borgellusa tre statuette -Demetra, Kore ed Heracles - della fine del III o dell'inízio del II secolo a.C.; nello stesso anno fu individuata una costruzione romana del I secolo a.C.; procedendo lungo il litorale avolese, è stato ritrovato in contrada Piccìo un complesso agricolo industriale di questo stesso periodo. Si dice oggi che lungo il litorale da Falari a Calabernardo(La Balata) siano disseminate un numero imprecisato di ville di epoca romana; si tramanda pure che proprio a Falari si siano trovate, in epoca remota, monete greche ed altre dei tempi degli imperatori romani Nerva e Gordiano Pio. Arriviamo così, seguendo i rinvenimenti dell'epoca imperiale, agli anni della diffusione del Cristianesimo: allora sarebbe approdato sul litorale di Avola l'apostolo Paolo che, per dissetarsi, avrebbe fatto sorgere un pozzo di acqua fresca; qui tutte le bisce che bevono, morirebbero. Negli stessi anni, esattamente nel 143 d. C., sarebbe arrivata ad Avola la nostra santa patrona, S. Venera, che si sarebbe rifugiata nella grotta che da lei prende il nome ad Avola Antica. Sono leggende che riportiamo per documentare quanto ricco sia il patrimonio popolare.

 

Fuor di dubbio che l'altopiano ibleo, comprendente la vasta area collinare dell'attuale Avola Antica, fu intensamente abitato a partire dalla Media Età del Bronzo (XV secolo a.C.), quando la Sicilia era ancora abitata dai Sicani; questo viene confermato dai reperti archeologici venuti alla luce talora occasionalmente o a séguito di scavi esplorativi condotti, però, senza sistematica continuità, nell'arco di un secolo o poco più. La calata dei Siculi nella nostra isola dal Continente–avvenuta almeno in due fasi, di cui la prima nel 1270 e la seconda ed ultima nel 1050–interessò anche la nostra zona montana in cui si insediarono i nuovi invasori; tale insediamento è attestato dai circa quaranta sepolcri, ancora visibili nella roccia del Cozzo Tirone, risalenti ai secoli X-VIII a.C., a ridosso, cioè, della prima colonizzazione greca che avvenne nel 750, circa, a.C. A quest'ultimo periodo risale il materiale ricavato dalla ripulitura di tombe rinvenute nel Cozzo Tirone e nel vallone Ronchetto-Pisciarello.

 

Non è, dunque, peregrino congetturare che, già all'arrivo dei Greci sulla costa orientale siciliana, Ibla avesse raggiunto un florido stato economico e che per qualche tempo ancora lo abbia mantenuto. Alla sicurezza economica si sarebbe accompagnata la sicurezza dei confini, garantiti dalle difese naturali, come abbiamo sopra detto. È, forse, a questi due aspetti che il Di Maria, sulla scorta delle sue fonti, fa risalire i privilegi di cui avrebbe goduto Ibla al tempo di Ducezio, re dei Siculi. Questi, si sa, aveva tentato di organizzare la rivolta delle città sicule contro le colonie greche che erano state dedotte sulle fasce costiere meridionale ed orientale della Sicilia; a tal fine aveva riunito le genti sicule in una sorta di confederazione e a ciascuna delle città confederate aveva imposto un tributo. 

Ibla–è sempre il Di Maria a narrarlo–sarebbe stata esonerata dal pagare il tributo, cosa che non ci deve meravigliare considerando a quali e quanti pericoli essa si sarebbe esposta a dichiararsi apertamente nemica di una città vicina e potente come Siracusa, con cui doveva, certo, mantenere rapporti di natura commerciale. Di questi rapporti, sono, forse, testi i numerosi tesoretti monetali rinvenuti nel territorio avolese, tra i quali spicca per importanza quello ritrovato nel 1914 in contrada Mammanelli e di cui diede notizia nel 1917 Paolo Orsi. In un vaso fittile grezzo erano contenute trecento o quattrocento monete d'oro emesse dalla fine del V fino alla metà del IV secolo a.C.; molte monete erano state coniate per celebrare un felice evento che l'Orsi pensò potesse essere la vittoria riportata sugli Ateniesi da parte delle forze alleate dei Siracusani e degli Spartani nella seconda fase della guerra del Peloponneso, che si concluse, nel Settembre del 413 a.C., nelle nostre contrade. A questa battaglia riporta anche il tesoretto di duemila monete, di cui diede notizia lo stesso archeologo nel 1891, avanzando l'ipotesi che fosse il tesoro dell'esercito ateniese in fuga, che se ne disfece per potere procedere speditamente. Ecco, molto sinteticamente, le drammatiche fasi della disfatta ateniese, come si leggono in Tucidide4: al comando di Nicia, uno dei due generali ateniesi, l'esercito, superata la difesa siracusana al guado del fiume Cassibile, invece che risalire il fiume lungo la Cava Grande,si diresse verso l'Erineo, in territorio neutrale se non amico. Accampatosi su una collina al di là del fiume, si rimise in marcia a due giorni dall'arrivo, dirigendosi verso l'Asinaro, laddove termina il fiume, in contrada Falconara.Fu proprio qui che avvenne la strage dell'esercito ateniese perché i soldati, stanchi ed assetati, sfiancati dalla calura del nostro Settembre, si precipitarono disordinatamente a bere offrendosi come insperato, facile bersaglio al nemico.I morti furono migliaia mentre i superstiti, in numero di 7000, si arresero e finirono i loro giorni nelle latomie siracusane.In quegli stessi anni, lungo il litorale avolese, nella località che oggi chiamiamo Falari, i Siracusani fondavano una cittadina, di nome Talaria, con l'intento, certo, di farne un avamposto difensivo. Già il Di Maria riferiva che esistevano ai suoi tempi "nello Scaro volgarmente detto, Faudale, evidenti segni di antichità" ma non fa cenno alla cittadina di Talaria, che è menzionata da Stefano di Bisanzio e i cui abitanti sono citati da Plinio il Vecchio.

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